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cose da capitano

4 Giugno 2010

 

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

E’ passato un quarto di vita media dall’ultima volta che mi sono affezionata a un giocatore del Toro, e non mi metto a parlarvi dell’immenso Leo Junior, passato di qua dall’84 all’87.

Erano altri tempi, di quel calcio con i numeri dall’uno all’undici e con le rose di sedici giocatori, (cosa che adesso neppure una squadra di calcetto), quel calcio che a vederlo adesso sembra che abbiano la retro e invece erano solo meno pompati, in tutti i sensi possibili.

Non me ne vogliano quelli che “soloperlamaglia” ma secondo me due parole per Rolando Bianchi sono da spendere, e anche un coro, magari, visto che lo si fa per chi non ci ha messo più di due partite per insultare un’intera curva.

Il ragazzo mi è sembrato da subito particolare, ha accettato la sfida di una piazza che prima lo voleva a tutti i costi e poi, sentendosi tradita, ha vomitato odio fino a farlo buttare fuori pur di non vederlo con un’altra maglia. Ragazzo per bene, Bianchi ha sempre promesso poco e lavorato tanto, trattando con garbo tutto quello che ha capito essere il nostro universo Toro.

Ha chiesto scusa dopo un rigore sbagliato -lui che per come e quanto gioca è l’ultimo a dover chiedere scusa- ha lottato su ogni pallone facendosi prendere a zampate dai centrali assurdi della serie b, si è caricato la squadra sulle spalle col piglio dell’operaio più che del veterano, ha segnato in ogni modo, con lo stinco e in rovesciata e poi sempre di corsa verso di noi con i compagni sottobraccio e l’urlo furioso in gola.

E poi quel gol domenica contro il Sassuolo, a mettere la testa a pelo d’erba contro un destino in evidente direzione ostinata e contraria rispetto a quello che era, semplicemente, giusto.

Bellissimo il suo movimento in area a smarcarsi sul palo lontano.

Emozionante la sua corsa sotto la curva, a condividere la rabbia con quel popolo innamorato di un colore e di una storia che lui ha dimostrato di saper capire. E sfido tutti i granata a dirmi che non hanno pensato per un attimo a quel gol di Pupi, sebbene accostargli qualcuno oggi può sembrare una bestemmia.

E ancora la commozione a Superga, vera e lontana dallo skyfo che sembra essere diventato il calcio.

 

Rolando Bianchi ha dimostrato di essere Il Capitano del Toro e voglio scomodare la retorica dicendo che non è un pezzo di stoffa a fare la differenza ma quello che rappresenta il cuore di chi la porta.

Quello che ha saputo soffrire, condividere, vincere, perdere, sbagliare, segnare e cazzo quanto segna.

Se non saliremo, cosa che ritengo piuttosto probabile, credo che la logica lo porterà lontano: l’età e le potenzialità sono quelle del buon giocatore di serie A.

Spero che nessuno si dimentichi, nel caso, di dirgli: grazie, Capitano.

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