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4 maggio 1949, alle 17:05

5 Maggio 2008

 

solilfatolivinse

 

Allora che si fa oggi? Se non si vince si scende, un’altra volta.

Cazzo me ne frega, dopo la prima retrocessione ci si fa il callo, poi scusa guarda che giorno è oggi.  

 

 

Me Grand Turin
Russ cume ‘l sang
fort cume ‘l Barbera
veuj ricurdete adess, me grand Turin.
En cui ani ‘d sagrin
unica e sula la tua blessa jera.
Vnisìu dal gnente, da guera e da fam,
carri bestiame, tessere, galera,
fratej mort en Russia e partigian,
famìe spiantià, sperduva ogni bandiera.
A jeru pover, livid, sbaruvà,
gnanca ‘n sold ‘n sla pel e per ruschè
at duvavi suriè, brighè, preghè,
fina a l’ultima gusa del to fià.
Fumè a vurià dì na cica ‘n quat,
per divertise a duvìu rii ‘d poc,
per mangè a mangiavu fina i gat,
geru gnun: i furb cume i fabioc.
Ma ‘n fiur l’aviu e t’jeri ti, Turin,
taja ‘n tl’asel jera la tua bravura,
giuventù nosta, che tuti i sagrin
purtavi via cunt tua facia dura.
Tua facia d’uveriè, me Valentin!,
me Castian, Riga, Loik e cul pistin
‘d Gabett, ca fasia vni tuti fol
cunt vint dribbling e poi jera già gol.
Filadelfia! Ma chi sarà ‘l vilan
a ciamelu ‘n camp? Jera ne cuna
‘d speranse, ‘d vita, ‘d rinasensa,
jera sugnè, criè, jera la luna,
jera la strà dla nostra chersensa.
T’las vinciù ‘l Mund.
a vintani t’ses mort.
Me Turin grand
me Turin fort.  

 

 

No, non ci casco. Non  ho bisogno che mi dicano che è arrivato un papa buono per credere in dio (trattasi ovviamente di una metafora, che questo di buono non ha neppure il gatto) e non ho voglia di sentire la solita tiritera su quanto sono retrò, come la gran parte dei tifosi del Toro.

Ci chiamano perdenti, anacronistici, ci pensano nostalgici perché non abbiamo soddisfazioni nel presente.

Sbagliato.

Durante il tragitto, stranamente solitario, da casa allo stadio metto alto un guccini d’annata e penso alle cose che mi sono persa solo a causa dei balzelli temporali, e trovo Loro. Cosa darei per aver visto una partita degli Invincibili.

Il Toro era una squadra perfetta nel gioco e nelle idee, così come lo erano gli Ideali postbellici, una squadra che si staglia nitida nel mio immaginario con le maniche tirate su del Capitano, il sopracciglio bendato di Ballarin, la moneta di Maroso, l’uscita di pugno di Bacigalupo, il gel di Loik, il sorriso sornione di Gabetto, le punizioni di Menti, e poi ancora. Passare sull’erba del Fila e sentirli ancora lì, con il muscoli lucidi e lo sguardo sempre fiero, ecco…questo vuol dire essere del Toro. Almeno per me e per quelli come me che hanno il cuore di onorare una memoria che è significato e significante della nostra appartenenza.

Ieri sono entrata allo stadio e mentre l’autoparlante recitava i Loro nomi mi sono sentita  ancora una volta commossa e felice di sapere cos’è il tremendismo.

 

Comunque si doveva vincere, per forza. È così è stato.

 

Dimenticavo, a futura memoria, anche se ieri alla fine ha fatto anche bello… “Piove quasi sempre il 4 maggio: anche il cielo, in quel giorno, si ricorda di piangere”

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