nun ve reggae più
Tolleranza:
1 la capacità fisica o spirituale di sopportare: avere tolleranza per il freddo, per il caldo; la tolleranza dell’organismo a un medicinale; ogni tolleranza ha un limite
2 il permettere o l’accettare idee e atteggiamenti diversi dai propri; il dimostrare comprensione o indulgenza per gli errori e i difetti altrui: avere spirito di tolleranza; mostrare tolleranza per le opinioni altrui; giudicare con tolleranza; tolleranza politica; tolleranza religiosa, il principio della libertà religiosa, della coesistenza nell’ambito di una stessa società di più confessioni religiose ‘ editto di tolleranza;
3 lo scarto, la differenza ammessa rispetto a certi valori prestabiliti di quantità, di grandezza;
4 tempo concesso oltre l’ora o la data fissata per l’inizio di qualcosa;
Tolleranza? Mi sembra proprio il minimo in una società che si autodefinisce evoluta.
E tuttavia la definizione mi va stretta, soprattutto parlando dell’appartenenza a una minoranza sessuale, seppure dentro un contesto fortemente sessista come è ancora quello italiano. Io tollero tutti giorni ignoranza e battute del cazzo, questa è tolleranza, non il contrario.E mi rendo conto di sentirmi sempre più intollerante.
Se qualche tempo fa la domanda da porre era: cosa può pregiudicare l’estensione dei diritti per soggetti che ne godono per motivi cosiddetti naturali?ora la domanda è: ma quale mente malata può perdere tempo a scrivere sui muri scritte contro i gay accompagnate da simboli nazifascisti?
Ora l’ignoranza e la violenza, verbale e non, viene legittimata da una classe politica la cui spocchia sconfina, impunita, in ogni campo fino alla glorificazione della Repubblica di Salò. Deliri.
A me Zapatero sembra una persona normale con valori normali che fa cose normali, ecco tutto. Gli alieni sono i miei vicini di scrivania, quelli che incrocio per le strade della mia città, quelli che oggi si sentono tristi per i fratelli uiessei, quelli che non si stanno incazzando.
Non li sopporto proprio più, non ne ho più voglia, vaffanculoeporcodio (perdonate lo sfogo ogni tanto ci vuole, come contro i gobbi).Di seguito un articolo interessante da Repubblica di oggi.
Così si vive oggi a Gay Street
di SEBASTIANO MESSINA
ROMA – Fuori, il menu turistico promette "pasta+soda+coffee+ice cream" al prezzo stracciato di 11 euro. Dentro, tra le pareti color salmone affumicato, c’è una fila di sgabelli rossi. Affumicati pure quelli, perché una notte di febbraio qualcuno ha gettato nella buca della posta una rivista imbevuta di benzina, facendo scoppiare il vetro della porta e riempiendo di fumo nero tutto il pub. Non siamo in un ristorante qualsiasi, siamo al "Coming Out", il primo locale dichiaratamente gay di Roma.
È da qui, da questa porta ancora affumicata, che lunedì notte sono usciti Cristian e Federico, i due ragazzi di 29 anni che erano venuti a Roma per una serata romantica e si sono ritrovati sotto una pioggia di pietre, insulti e bottiglie solo perché avevano osato camminare in via dei Fori Imperiali tenendosi per mano. Ed è qui, in questi cento passi di via San Giovanni in Laterano, che bisogna venire per capire se e come sta cambiando la vita degli omosessuali, nella città che due anni fa ebbe il coraggio di ribattezzare questa strada "Gay Street", con una festa pubblica animata da Alessandro Cecchi Paone. Intendiamoci, nulla a che vedere con la Christopher Street di New York: questa non è una strada abitata da gay, e non c’è neppure l’ombra di un sexy shop. Di giorno, è affollata di turisti americani, giapponesi e spagnoli che vanno al Colosseo, tra i quali si mescolano le suore che vengono dalla basilica di San Clemente e gli ufficiali medici dell’ospedale militare del Celio. Di sera, però, la scena cambia, e questo diventa il punto di ritrovo della comunità gay della capitale: sabato scorso, qualcuno ha calcolato che ce ne fossero almeno tremila.
Sì, qualcosa è cambiato" ammette Flavia, 37 anni, una delle due socie che gestiscono il "Coming Out". Alle sue spalle, dietro le bottiglie di whisky e di gin, c’è un finto cartello stradale, come quelli piazzati in prossimità delle scuole: solo che invece di un adulto che tiene per mano un bambino, qui ci sono due adulti che si tengono per mano. E’ stato messo lì con ironia goliardica, ma oggi sembra segnalare un pericolo vero, per i gay. "Il pericolo che si torni indietro. Qui a Roma si era aperto uno spiraglio, con il Gay Pride del 2000. Oggi abbiamo la netta sensazione che quello spiraglio si stia richiudendo".
Flavia non parla per sentito dire. A luglio, una cameriera del suo pub stava tornando a casa, al Tuscolano, dopo aver chiuso il locale. Quando è scesa dall’autobus è stata inseguita da un gruppo di ragazzi che, vedendole addosso la maglietta del "Coming Out", hanno cominciato a prenderla a calci. "Frocio di merda!" le gridavano. "Ma io sono una donna!" ha urlato lei. Non è bastato: hanno continuato. "Oggi i nostri camerieri si cambiano la maglietta, prima di uscire" precisa Flavia, con un sorriso amaro.
"Prima eravamo più spensierati" commenta Annalisa, 32 anni, la sua socia. "Oggi dobbiamo stare più attenti. Camminare per strada mano nella mano è un lusso che non sempre possiamo permetterci. Tu passi e senti alle tue spalle qualcuno che mormora: ecco due lesbiche, chissà chi è l’uomo… Prima magari lo pensavano, ma si trattenevano. Oggi si sentono liberi di dirlo ad alta voce".
Piccole cose, che però pesano come pietre nella vita quotidiana di chi deve difendere giorno dopo giorno il diritto alla sua omosessualità. La cronistoria del 2008 somiglia a un bollettino di guerra. A febbraio, dopo l’incendio al "Coming Out", il tassista che si rifiuta di far salire due ragazzi "perché sul mio taxi non voglio froci". Ad aprile, l’assalto neofascista al circolo "Mario Mieli". A maggio il conduttore di Radio Deegay aggredito sotto casa. A giugno le incursioni neonaziste al Gay Pride. A luglio le botte alla cameriera lesbica. Ad agosto le scritte sulle panchine della gelateria "Icecreambears": "Gay ai forni". Poi, lunedì notte, è toccato a Cristian e Federico.
"La stessa sera – racconta Alessandro, 46 anni, biologo e responsabile della Help Line dell’Arcigay – un ragazzo che usciva dalla Gay Street è stato insultato da tre uomini su una macchina. Ma stavolta è successa una cosa insolita. La gente che stava davanti ai locali s’è messa davanti alla macchina e ha chiesto conto degli insulti. Allora quelli, sentendosi circondati, hanno fatto una precipitosa marcia indietro: ma no, hanno detto, dicevamo per scherzo, noi siamo amici dei gay. E sono andati via con la coda tra le gambe".
Qui a Gay Street l’unione fa la forza, certo. Ma questa piccolissima isola che gli omosessuali sono riusciti a conquistare nel cuore antico di Roma è anche un bersaglio facile per chi vuole prenderli di mira. "All’inizio di giugno – ricorda Marco, 32 anni, giornalista free lance – ogni notte alle 2 passavano, puntuali, quattro ragazzotti in macchina che ci gridavano col megafono, da lontano: "A branco de froci, annatevene a casa!". Ormai ci eravamo abituati: poi hanno smesso". Potevano farlo liberamente perché qui non si vede più un poliziotto, un carabiniere o un vigile, accusa Francesco, che ha 65 anni ed è uno dei proprietari del "My Bar". "Fino all’estate scorsa questa strada era pedonalizzata, il fine settimana, e ogni sera venivano i vigili. Da quest’anno, non più. Così quando capita qualcosa, prima che arrivi una volante passa un quarto d’ora. Capirai".
Ma davvero è diventato più difficile, vivere da gay a Roma? "Se io dicessi che da un giorno all’altro è cambiata la mentalità dei romani direi una stupidaggine – risponde Fabrizio Marrazzo, 31 anni, ingegnere e presidente romano dell’Arcigay – ma certo qualcosa è successo. Se prima la gente si frenava, oggi non lo fa più. E molti danno voce al sessismo che portano dentro: ritenendo che insultarci sia un loro diritto naturale, o anche semplicemente riprendendo le distanze. L’altro giorno al nostro centralino ha chiamato un impiegato ministeriale. Uno che la sua omosessualità non l’ha mai sbandierata, ma nemmeno nascosta. Ci raccontava che un suo collega l’aveva gelato, quella mattina, dicendogli: io con te voglio avere solo rapporti di lavoro, dammi la pratica e vattene".
È qualcosa di più di una sensazione. È una paura: la paura di un ritorno al passato. Una paura che si trasforma in autocensura, come è successo persino nel giorno del Gay Pride. "Ricordo che nel 2000, finito il corteo tutti portarono le bandiere gay per le strade di Roma – ricorda Flavia – come per diffondere il più possibile la felicità di quella marcia. Quest’anno ho visto molti che staccavano le bandiere dalle aste e le mettevano frettolosamente nella borsa, per non essere presi di mira una volta rimasti soli".
Il clima, insomma, è un altro. Daniele, che ha 21 anni e dunque ha cominciato da poco a percorrere la sua strada in salita, spiega che il cambiamento lo ha avvertito soprattutto dentro di sé. "Prima, quando c’era la giunta Veltroni, tu sentivi che gay e lesbiche godevano di una protezione, diciamo così, un po’ speciale. Oggi questa protezione non la senti più, quando leggi che per il ministro Carfagna in Italia non esistono discriminazioni sessuali". Lui, ovviamente, non la pensa così. "Lunedì sera passavo per piazza Venezia con degli amici. Ho visto un uomo molto tamarro, e ho detto ai miei amici: che bel ragazzo! Quello mi ha sentito e si è fermato. Poi, puntandomi il dito: "Se ripassi di qui ti rompo il…". Mi sbaglierò, ma un anno fa non sarebbe successo". Chissà.
(11 settembre 2008)
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